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La rinascita dell'agricoltura genovese (grazie anche all'impegno di Cia) raccontata dal Secolo XIX


1568 aziende agricole presenti nel territorio della Città metropolitana, di cui 822 nel solo comprensorio genovese: sono questi i dati dell'agricoltura nella provincia di Genova raccolti da Cia Agricoltori Italiani e ripresi, sul Secolo XIX, nell'articolo a firma di Bruno Viani pubblicato lo scorso 23 febbraio.

Dati che raccontano di un trend in ripresa dopo la brusca contrazione registrata tra il 2012 e il 2013. Da allora, infatti, i numeri parlano di un'inversione di tendenza, testimoniata anche dall'aumento, dell'1% all'anno, delle giornate di lavoro. Una crescita per certi versi inaspettata, come dimostrano le difficoltà della Regione nel reperire le risorse necessarie a soddisfare le domande di finanziamento: basti pensare che, a fronte di circa 120 milioni di contributo richiesti, ne sono stati concessi meno della metà, e appena la metà della metà è stata effettivamente erogata.

Delle quasi 1600 aziende agricole esistenti nel territorio provinciale, 350 si trovano all'interno del Comune di Genova, 129 sono nel resto della Valpolcevera, 78 in Valle Stura e 55 in Val Trebbia. Tra i comuni con la maggior concentrazione di imprese vanno citate le 42 aziende agricole di Serra Riccò, le 41 di Arenzano, le 35 di Sant'Olcese e le 33 di Rossiglione. L'indirizzo prevalente è quello ortofrutticolo, ma fa eccezione la Valle Stura dove, in seguito alla chiusura, nel 2012, della storica Centrale del Latte di Fegino, si è affermato il progetto del marchio del latte "Valli Genovesi", promosso proprio dalla Confederazione Italiana Agricoltori in collaborazione con Latte Alberti e la disponibilità di Coop e Carrefour per la commercializzazione.

«Per noi, allevatori da quattro generazioni in Valle Stura, il momento più difficile è stato proprio quello: la crisi della Parmalat, una situazione che sembrava senza sbocco. Ma per fortuna, la nostra azienda stava già iniziando un processo di trasformazione», ricorda al Decimonono Lorenzo Pesce che, insieme alla moglie, gestisce un allevamento bovino a Rossiglione, portando avanti quella che da sempre è l'attività di famiglia. La sua è appunto una delle aziende che hanno aderito al progetto "Valli Genovesi". «Io sono nato nel 1979, l'azienda nasce invece con mio bisnonno Giuseppe nel 1928. E in poco meno di un secolo, sono cambiate tante cose. A quei tempi l'impegno fisico ed economico era diverso: non c'erano strade né mezzi meccanici. Io posso dire che il mio obiettivo è sempre stato continuare su quella strada, la passione l'ho avuta sin da piccolo e l'ho coltivata studiando al Marsano. Ho avuto proposte di lavoro diverse, avrei potuto fare l'autista o il giardiniere, ma la mia vita è qui».

«In azienda - prosegue Pesce - oggi lavoriamo io e mia moglie Michela, che aveva un impiego come dipendente ma, dopo la nascita della nostra bambina, ha scelto di fermarsi qui: 13 ettari di terrno, una sessantina di bovini da latte di cui una trentina in mungitura». Circa un quinto della produzione viene trasformata in yogurt e formaggi freschi che l'azienda commercializza autonomamente, mentre la maggior parte viene destinata al consorzio Valli Genovesi. «Siamo parte di questo progetto che mette insieme quattro produttori di Rossiglione, aver iniziato una produzione autonoma ci ha aiutati nel momento del crack Parmalat: acquistavano gran parte del nostro latte, da un giorno all'altro sembrava tutto finito. Innovare è una scelta obbligata, dopo la fine della Parmalat o si cambiava mestiere o si doveva rilanciare per farci conoscere in proprio. L'ente Parco del Beigua sta facendo un gran lavoro per la promozione del territorio, noi dobbiamo fare la nostra parte», conclude Pesce, la cui azienda è stata anche inserita, dalla Camera di Commercio, nel progetto "La Milano-Sanremo del gusto", teso a promuovere itinerari di degustazione e sapore lungo le strade della grande classica di ciclismo.

Dal latte al basilico, altra testimonianza raccolta da Bruno Viani sulle pagine del Secolo XIX è quella di Emanuele Genta (nella foto in alto), vicepresidente di Cia Liguria di Levante e titolare dell'azienda agricola Genova Pra', la cui storia è davvero particolare: «Siamo agricoltori dal 1820, da quando il mio trisnonno materno, Nicolò Sacco, manente del barone Podestà, lavorava le stesse terre su cui hanno faticato suo nonno e suo padre, poi lei stessa e oggi io e mia moglia con l'aiuto dei miei genitori, e certamente con più mezzi di allora». Ed è sempre grazie alla Cia se le terre che la famiglia Sacco coltiva ormai da due secoli, sono ancora lì: a cavallo tra gli anni '80 e '90, infatti, la Piana del barone Podestà avrebbe dovuto essere interamente sacrificata sull'altare del cantiere per lo svincolo autostradale di Pra', ma la Confederazione Agricoltori si mise di mezzo, riuscendone a salvare almeno una parte.

Ora, quel terreno appartiene proprio a Genta, che racconta: «Quando nel 2014 il San Martino ha deciso di dismettere le terre della Piana, io ho potuto acquistare quelle coltivate dal trisnonno esercitando il diritto di prelazione. In più, adesso, abbiamo altri due ettari. Il grosso della produzione è destinato al mercato di Bolzaneto, il resto va a clienti privati che si presentano in azienda e a due Gas, gruppi di acquisto solidali. Dopo il crollo del Ponte Morandi, ci siamo dovuti attrezzare per andare incontro a chi non può venire, è stata una necessità: quando un numero adeguato di clienti fa un ordine, carichiamo su un furgoncino e siamo in grado di portare tutto a domicilio». L'ultima testimonianza è quella di Maddalena Sacco, madre di Emanuele: «Ho lavorato anche io queste terre fin da giovane, quando ho interrotto gli studi alle superiori e ho scelto di proseguire la strada dei miei bisnonni e faticare sui campi, come fa ora Emanuele: senza datica non si fa niente, la terra è bassa».

(Fonte "Il Secolo XIX" del 23/2/2020)



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